Fondazione di una casa

da Salvatore Straccia

pubblicato in racconto breve

La strada è una serpentina che si dipana lungo  un crestone di Appennino affacciato sul Tirreno; da qui andando verso Ovest c’è Velia, Paestum, Ascea  e quella perla di naturale bellezza che è il Cilento; viaggiamo tra macchie di ulivi e bellissime querce, piccole ma dure come la roccia. Arriviamo alla casa, che una coppia di inglesi ha eletto a propria eternale dimora; lungo i muri che dividono la campagna dalla strada hanno disegnato delle grosse margherite, come segnale per noi in questo dedalo di incroci. Davanti all’entrata della casa, costituita da due colonne semidiroccate, c’è un cartello a lettere colorate su cui è  istoriata  la parola “SHAMBALA”. Entriamo con le nostre due auto, una Ford station wagon e la mia auto, una vecchia Golf. Loro, i due inglesi,  si sono sistemati dentro una grossa cella frigo che serviva per la pesca  in Scozia. La casa evidentemente è ancora vuota: è una piccola casetta bianca cubica a un solo piano,  molto semplice. Penso a come l’avranno vista loro per la prima volta, dopo mesi e mesi di vane ricerche, a come lo stesso posto possa essere diverso, per chi ci è nato e per un forestiero, per un adulto e per un bambino, e la  vedo diversamente da come lo spiega Kant, per il quale “noi vediamo un albero; un’altra persona guarda lo stesso oggetto. Nei suoi occhi vediamo che la sua immagine di albero è identica alla nostra. E dunque noi tutti vediamo gli oggetti così come essi esistono realmente”. Ma perchè poi mettere in mezzo sempre l’albero? Perchè i filosofi e i poeti non lasciano mai stare questi alberi, senza avere nessuna dimestichezza colla natura e cogli alberi? Non è diverso ogni albero dall’altro? Il bambino biondo, figlio di una coppia di filosofi romani, mi segue nell’esplorazione della casa. Si chiama Martino come Heidegger. Davanti a noi c’è una porta a due ante di color verde; “vogliamo vedere se c’è Eco?” gli faccio; e lui annuisce entusiasta. Allora apro una delle due ante e butto dentro con tutta la forza che c’ho nei polmoni il mio “ECOOOOOOOOOOOOOOOO!”. Il rimbombo delle pareti vuote è esattamente come lo avevo sperato e Martino spalanca gli occhi di stupore. “Chiudiamo adesso, se no Eco scappa via”. “Si si, chiudiamo che Eco scappa via”. Ora finalmente ho la coscienza a posto, sono riuscito a fondare un casa su una divinità greca agli occhi di un bambino, posso ricominciare da capo..

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